10 cose da non dire mai all’editor
Quando un autore conclude la scrittura di un manoscritto è bene che lo faccia leggere a un professionista prima di inviarlo a case editrici o agenti. Questa figura di occhio vigile, sensibile e implacabile che si occupa del testo prima del suo invio, è incarnata dall’editor.
Spesso, però, gli autori si rivelano molto suscettibili nei confronti delle critiche, al punto che viene da chiedersi perché si rivolgano a una persona che di professione corregge le incertezze di un testo se non si è disposti a fare niente per migliorarlo.
Ho chiesto a Valeria D’Ambrosio, editor e fondatrice di Okapilab, quali fossero le 10 cose che un autore non dovrebbe mai dire all’editor. L’elenco può essere un utile vademecum per gli scrittori esordienti per comportarsi già come professionisti 🙂
Ecco, questo è il mio libro. Ci sarà qualcosina da sistemare, per questo mi sto rivolgendo a lei; ma le anticipo già che tutti quelli che l’hanno letto ne sono stati entusiasti.
Partiamo male, anzi malissimo: in questo atteggiamento, che è molto comune, ci sono addirittura tre errori. Vanno chiariti subito per evitare che il rapporto autore-editor sia guastato senza rimedio fin dall’inizio. Per cominciare, è malsano che l’autore definisca “libro” quello che una volta si chiamava manoscritto, una definizione che in realtà si usa ancora. Non è un libro. Non è ancora un libro. Per adesso è un romanzo, una raccolta di racconti, un saggio. Diventerà un libro quando sarà pubblicato. Può sembrare una distinzione pedante, ma se un autore, specie se esordiente, si abitua a chiamare “libro” qualcosa che non lo è ancora, la mia esperienza è che questo autore tenderà a dare per scontata la pubblicazione e a essere impaziente, a dire poco, nei confronti di tutti gli ostacoli a questa pubblicazione. Questo inesattezza di linguaggio rivela, come sempre, un atteggiamento che è esso stesso sbagliato. In secondo luogo, che ci sia “qualcosina da sistemare” non è una cosa che spetta all’autore di dire. Può darsi che le cose da sistemare siano grosse; può darsi invece che non ce ne siano affatto e che il testo, per miracolo, vada già bene così. Ma spetta all’editor dare questo giudizio, e poi spetterà all’agente letterario, all’editore, insomma a lettori professionali. L’insidia peggiore è quella contenuta nella terza affermazione. L’autore che tira in ballo queste letture precedenti a quella dell’editor, invariabilmente positive, esprime una estrema insicurezza, una grande paura del giudizio, e cerca di influenzare l’editor, quasi di intimidirlo. Invece le letture di parenti, amici e conoscenti sui social non contano nulla, perché dire a un autore: “È bellissimo!” non costa niente a queste persone; è anzi il modo migliore per togliersi dall’impaccio, dato che se gli dicessero: “Sai che non mi ha convinto?” si troverebbero travolti da proteste, richieste di chiarimenti, malcontento.
Due mesi di attesa e poi dieci giorni per lettura e editing??? Ma io non credevo di dover aspettare così tanto!
La lettura professionale è un lavoro lento, che non conosce scorciatoie. In generale è tutta l’editoria ad avere tempi lunghi, molto più di quanto appaia dall’esterno. Un romanzo che compia in un solo anno tutto il cammino delle letture professionali fuori e dentro dalla casa editrice, delle correzioni, revisioni a più stadi etc, è un’eccezione, un vero campione di velocità; oppure è semplicemente l’opera di un autore già affermato, che non ha più bisogno di convincere nessuno. Per un esordiente, un tempo medio di un anno e mezzo o due dal momento in cui scrive l’ultima parola del romanzo al giorno in cui lo vede in libreria si deve considerare il minimo.
Scusi, ma non sono per niente d’accordo con queste osservazioni. Ora le spiego quello che volevo fare / ma le è chiaro o no che quella scena è un flashback?
Se queste cose me le devi spiegare, il motivo è molto semplice: nel testo non ci sono. Per fare un gioco di parole banale: sono nella tua testa, non sono nel testo. Oppure, nel caso per esempio di un riferimento troppo poco evidente, tu quella cosa nel testo l’hai messa ma stai chiedendo al lettore uno sforzo, per coglierla, che il lettore non dovrebbe fare. E non stiamo parlando solo del lettore professionale, ma delle persone che un giorno potrebbero comprare il libro. L’autore non dovrebbe spiegare proprio nulla, il testo parla da solo. Oppure non parla e allora vuol dire che c’è un problema.
Guardi che non ci siamo: io sono un’artista e non sono disposto a snaturare la mia opera.
Questo atteggiamento è forse il più sbagliato di tutti. Anzitutto rivela una concezione ottocentesca, statica, dell’opera d’arte, quando tutto il Novecento ha parlato del romanzo come di un organismo vivente, aperto, mai davvero “compiuto”. Ma soprattutto suggerisce che questo autore non avrebbe mai dovuto rivolgersi a un editor, perché non sarà in grado di accettare alcun intervento senza considerarlo un delitto di lesa maestà artistica.
Quindi, con tutte queste correzioni, secondo lei il mio libro è un disastro? Mi tolga la curiosità, ma lei quanti libri ha scritto? Chiedo perché sono davvero curioso, mi dica i titoli che li cerco.
Può sembrare incredibile ma mi è successo di sentirmi dire anche questo. L’autore, indignato per i rilievi mossi al suo romanzo, diventa aggressivo e attacca l’editor su quello che a lui sembra un punto debole, ossia il fatto che l’editor non è a sua volta un autore. Insomma, l’autore sfida l’editor a dimostrargli di essere degno di indicare errori e manchevolezze, sicuro di mettere a segno un colpo letale perché l’editor non ha pubblicato libri a nome proprio. In realtà si può dire che esistono due tipi di editor: ci sono scrittori che fanno anche questo lavoro, e ci sono gli editor “puri”, che hanno la competenza per lavorare su un testo altrui ma non sono interessati a pubblicare testi propri. I due tipi si equivalgono, perché ciascuno di loro presenta un possibile difetto. L’editor-scrittore ha di solito un gusto molto forte e strutturato, proprio perché scrive, e gli può accadere di fare più fatica ad adattarsi alle esigenze dell’autore di cui si prende cura; in altre parole, di vedere nel testo degli errori dove ci sono semplicemente delle scelte personali legittime. Da parte sua l’editor puro può, soprattutto se è inesperto, pretendere dall’autore cose che l’autore non può fare, indicargli delle soluzioni che non sono alla sua portata, perché non ha l’abitudine a guardare le cose dal punto di vista dell’autore, bensì da quello del lettore. Inutile dire che entrambi sono difetti che un editor bravo non ha o che sa tenere sotto controllo, che sia uno scrittore o un editor puro.
Magari lei non capisce il mio libro perché ha gusti diversi dai miei. Infatti vedo che su Facebook e Instagram mette solo copertine o citazioni da roba sudamericana.
Altra classica mossa difensiva, che ha analogie con ciò di cui abbiamo parlato sopra: l’autore attacca l’editor sul piano dell’obiettività di giudizio, ovvero attribuisce le critiche del lettore professionista non a difetti davvero presenti nel manoscritto, ma in questo caso alle sue preferenze letterarie. L’obiezione è meno stupida di quanto potrebbe sembrare, perché è vero che l’obiettività in letteratura è, nel migliore dei casi, una meta verso cui tendere, non certo un risultato che si possa dire di aver raggiunto una volta per sempre; ma anche in questo caso un bravo professionista sarà consapevole del pericolo e lo eviterà, per quanto è possibile. Certo, farsi un’idea dei gusti letterari dell’editor in base ai social… a questo punto perché l’autore non l’ha fatto prima, così da evitare di perdere tempo e denaro con un editor che, secondo lui, non era in grado di apprezzarlo?
Forse ho fatto male a darlo da editare a una donna / a un uomo / a un editor così giovane / a un editor così anziano (mi scusi, ma l’anagrafe non è un’opinione!)
Di nuovo una risorsa difensiva a disposizione dell’autore – che poi, uno potrebbe chiedersi: ma perché l’autore deve difendersi dall’editor come da un nemico che vuole fargli del male? La cosa più logica sarebbe ascoltare le sue osservazioni, accogliere i suggerimenti che l’autore stesso trova sensati, realizzare le modifiche al testo che si sente in grado di fare. Dico sarebbe, dovrei dire: è. Comunque la maggior parte degli autori, per fortuna, si mette in questa logica.
Scusi, lei mi fa tutte queste osservazioni ma io poi vado in libreria e vedo sugli scaffali pile di copie dell’ultimo libro di XXX / di YYY / di ZZZ! Se pubblicano quelli, che sono dei cani, perché io no, visto che sono molto più bravo?
Di nuovo un’obiezione difensiva da parte dell’esordiente, non più rivolta all’editor ma agli editori in generale e, verrebbe da dire, alle grandi ingiustizie del mondo. Anche questa obiezione, come alcune delle precedenti, non è senza fondamento: tutti vediamo in libreria (ma anche nelle classifiche di vendita) libri francamente indecorosi. Il fatto è che se sono stati pubblicati è perché l’editore ha visto in loro un potenziale di mercato. Questo può essere avvenuto per molti motivi, alcuni davvero sconfortanti: l’autore può essere stato pubblicato perché è un personaggio noto e quindi potrà contare su una certa curiosità del pubblico; perché è un giornalista, meglio ancora se un critico letterario, quindi l’editore calcola che le sue relazioni gli faranno ottenere con facilità recensioni, premi letterari e così via; perché ha scritto un libro onestamente mediocre ma che rientra alla perfezione in un certo tipo di domanda del pubblico in questo momento; perché è uno scrittore che in passato ha dato alle stampe almeno un grande successo, quindi anche se da allora le sue vendite non sono più così spettacolari, sono però sufficienti perché l’editore pensi che con lui si gioca abbastanza sul sicuro; e altri motivi ancora. L’unica risposta possibile a questa protesta dell’esordiente è consigliargli di non fare la corsa sul personaggio famoso, sul bestsellerista etc., ma di prendere come modelli le decine di nuovi autori che ogni anno pubblicano libri molto belli senza avere alle spalle nessun tipo di protezione o vantaggio iniziale.
Ho letto un sacco di interviste in cui autori affermati raccontavano che la loro opera prima era stata letta GRATIS da altri scrittori, che l’avevano presa a cuore e fatta subito pubblicare da Einaudi / Mondadori / Feltrinelli / Rizzoli etc.
È vero: questo poteva accadere soprattutto molti anni fa, quando quello degli esordienti non era ancora diventato un assalto al mondo editoriale, per cui uno scrittore poteva anche, ogni tanto, avere il tempo e la voglia di interessarsi a un autore nuovo e provare a promuoverlo. Può accadere anche oggi, molto più raramente. In generale, peraltro, il potere di influenza (o di raccomandazione) degli autori sugli editori è molto sopravvalutato. Si tratta al massimo di un potere di segnalazione, che può far saltare al romanzo in questione un po’ di coda, può farlo leggere qualche mese prima di quanto sarebbe accaduto; ma alla fine l’editore lo pubblicherà solo se penserà di poter scommettere su questo libro, indipendentemente dalla segnalazione iniziale dello scrittore.
Le dico subito che io scrivo solo per me stesso.
Ha tutto il mio rispetto, ma a cosa le serve il mio aiuto? Continui a farlo da solo.
Valeria D’Ambrosio, editor, vive e lavora a Milano, dove collabora con la scuola di scrittura narrativa di Raul Montanari. Nel 2010 ha aperto l’agenzia OkapiLab, attraverso la quale fornisce consulenze alle agenzie letterarie e ad autori affermati o esordienti.