Manuali di scrittura creativa – Il mestiere di scrivere di Raymond Carver
Come influisce il tempo che abbiamo a disposizione sulle cose che scriviamo? Come si giudicano gli influssi sulla propria scrittura se questi influssi sono, nella fattispecie, negativi? Ne ha parlato molti anni fa Raymond Carver ne “Il mestiere di scrivere”, in cui ci dice molte cose che possono servire sia alla vita e alla scrittura.
Carver nel tempo
Il tema del tempo mi segue da qualunque punto voglia partire. Per esempio: una ricevuta della biblioteca dell’università trovata dentro il libro mi permette di datare esattamente la prima volta che l’ho letto: maggio 2004. Oppure: Carver è uno dei primi scrittori che mi ha stupito nella vita. Si può rimanere colpiti da tanti scrittori e per motivi diversi ma Carver mi aveva stupito perché non mi piaceva. I suoi racconti erano scarni, privi di fronzoli, assurdi. Non mi piaceva nemmeno come spiegava le cose, ovvero non amavo il libro di cui adesso sto scrivendo. L’ho letto, detestato e l’ho dimenticato per tanto tempo.
Da dove sto scrivendo
Col tempo ho cambiato idea sui suoi racconti tanto che ho letto tutto quello che di suo è stato pubblicato in Italia. Sono tornata spesso a “Il mestiere di scrivere” per diversi motivi. Uno, banalissimo, perché mi piaceva che nel titolo ci fosse la parola “mestiere”; due, perché alla fine del libro c’erano alcuni esercizi molto interessanti.
Ma il terzo motivo, che capisco solo adesso, era il suo approccio alla scrittura. Nel 2004 non potevo capire fino in fondo quello che Carver racconta della sua formazione di scrittore. Allora andavo all’università e avevo tutto il tempo che volevo per scrivere o per fare altro (tempo che ho probabilmente sperperato). Allora non avevo un impiego, non avevo una casa. Non avevo questa fissazione per il tempo e non desideravo ardentemente capire come gli altri scrittori facessero per utilizzarlo al meglio.
Il tempo che hai a disposizione dà la forma alla scrittura, non il contrario
Il libro è composto da una serie di saggi, uno dei quali fa proprio al caso mio. In “Fuochi” Carver racconta di com’era la sua vita a vent’anni: aveva due figli e gli era impossibile focalizzare l’attenzione su qualcosa di lungo da scrivere perché sapeva che non avrebbe mai potuto dedicargli attenzione duratura. Niente romanzi, quindi, solo racconti e poesie. Nel tempo le sue opere hanno assunto definitivamente la forma della sua vita e Carver non ha mai scritto un romanzo, anche quando forse ne avrebbe avuto il tempo.
Comprare una raccolta di racconti, gustarla, amarla può significare dunque accettare l’esistenza di una vita frammentata, di attenzione discontinua, di vite difficili in cui c’è grande dispendio di energie fisiche ed emotive. Significa apprezzare che lo scrittore di racconti non dà niente per scontato, sia a livello narrativo (deve far capire subito al lettore chi è il protagonista, dove è ambientata la storia perché non ha tanto tempo per girarci intorno) sia a livello personale: non dà per scontato il suo tempo, sa che è poco e che deve sfruttarlo al massimo.
La rinascita dell’interesse per i racconti negli anni ’80
Carver sapeva che se voleva davvero scrivere qualcosa doveva buttar giù una storia in una, due sessioni al massimo. Diversamente non avrebbe resistito agli assalti dei suoi due figli, all’incombere della solita bolletta da pagare. L’altro saggio in cui sono raccontate queste cose riguarda la rinascita dell’interesse per la forma racconto, che Carver descrive alla fine degli anni ’80. Allora niente di tutto quello che abbiamo adesso era ancora immaginabile. Il cellulare – per citare l’ esempio più ovvio – non esisteva e non era comparso, nella sua forma attuale, nemmeno nella fantascienza.
Leggendo questo pezzo mi è sembrato possibile datarlo al 2018. La mia impressione è che oggi sarebbe il momento più adatto alla forma racconto, perché sia il tempo del lettore che dello scrittore sono frammentati. Senza generalizzare, il mio tempo, per esempio, è così. Sarebbe molto adatto alla mia vita e alla vita di molte persone che conosco iniziare un racconto alla fermata del tram, la mattina, e finirlo prima di arrivare in ufficio. Niente matite in tutti i libri che possiedo. Invece no. Mi ritrovo a leggere sempre prosa lunga, per ritrovare – ora ci penso – qualcosa che mi restituisca unità, fluidità e la rappresentazione di una vita pacificata e dotata di senso. Una nuova era ottocentesca.
Dove vorremmo essere
Alla fine, che cosa voglio dire? Che cosa sto cercando?
Da una parte cerco naturalmente che qualcuno mi dica cosa fare, dall’altra guardo gli altri come hanno fatto prima di me. Ho di nuovo dei noodles in cui versare acqua bollente sul ripiano della cucina e delle erbette appena lavate nella pentola a bollire. Sono le nove di sera. Sulla scrivania c’è una tazza di the ormai freddo con il latte, che ho bevuto meno di mezz’ora fa, eppure ho comunque sonno.
Dove vorrei essere? Certamente qui, o a Napoli al massimo, in mezzo alla folla di via dei Tribunali davanti a Sorbillo, solo per lamentarmi di non riuscire ad arrivare a casa. Oppure davanti al mare a cercare di resistere al freddo. Ma in ogni caso così, a leggere Carver e scrivere.