La città dei vivi: le parole che salvano la vita
Ho finito di leggere La città dei vivi tre giorni (e tre notti) dopo la sua uscita.
Del caso Varani non ricordavo quasi niente. Se mi interesso troppo a un caso di cronaca così violento finisce che non ci dormo la notte. Diversamente da quello che è accaduto a Nicola Lagioia, a quel tempo non ho sentito il richiamo di qualcosa di simile accaduto nella mia vita, qualcosa che mi riguardava.
Parole che rimandano ad altre parole
Domenica su La Lettura ho letto il bellissimo articolo di Domenico Starnone su La città dei vivi, in cui si faceva riferimento a altri due libri molto importanti nella storia della letteratura d’inchiesta. Il libro di Lagioia – secondo Starnone – rimanda ai libri di Carrere e Capote ma allo stesso tempo si installa nel panorama letterario italiano come un unicum nel suo genere.
Se a Starnone il libro di Lagioia fa pensare ad altri libri a me ha fatto pensare a quando ero buddista e spesso ci dicevano che le parole ci avrebbero protetto fino a poterci salvare la vita. Dire a qualcuno di stare attento mentre guida o assicurarlo di essere capace di andare avanti anche nei momenti più difficili, potevano sembrare paternali blandizie ma, a lungo andare – dicevano – l’effetto delle parole poteva salvarci.
Ci ho creduto e non ci ho creduto, nel tempo. La nostra mente ha un potere distruttivo spettacolare, proprio nei momenti in cui qualcosa di semplice ti viene in aiuto. Ma del fatto che le parole possano salvare la vita ne sono certa e ne ho avuto anche delle prove. Il romanzo di Lagioia, perfetto e documentato, denso e terribile, ha il grande merito di mostrare non solo come un uomo – uno scrittore – possa dedicare se stesso, la sua stessa vita (le ricerche per questo libro sono durate più di quattro anni) non solo a raccontare, ma a comprendere. Come è possibile che eventi così insensati accadano? E perché questo ha a che fare con noi?
Stai attento
“Un’ombra ristagnava in noi dalla notte dei tempi” dice Lagioia quasi alla fine del libro. Mettendosi nei panni dei carnefici, Lagioia opera un ribaltamento di prospettiva che ha un valore dirompente, ma anche il senso di un ammonimento. Vedi di non essere tu, la prossima volta. Ed è con questa cura, con queste parole che salvano, che ci lascia il libro. Guida piano; ce la puoi fare. Ma anche: vedi di non essere tu, la prossima volta.
Perché queste cose possono sì succedere a te, ma potresti essere tu a farle succedere. E Lagioia lo sa perché, in un passaggio del libro, ci apre uno spiraglio sulla sua vita, su quel momento in cui avrebbe potuto essere Foffo o Prati, e non lo è diventato.
Vedi di non essere tu.
Le parole che salvano esistono.